Prima Lezione: il Foro Stenopeico
Pronti via! eccoci di nuovo qui a raccontarvi la prima lezione del nuovo corso Base L1 con i ragazzi - ma che diciamo - con le ragazze del gruppo Giugno/Luglio 2014: in questo corso il sesso femminile, al solito più nutrito di quello maschile, stavolta ha fatto l'en plein!
E la grinta non manca di certo.
Il gruppo delle dieci ragazze che si sono iscritte a questo nuovo corso Base sembra davvero agguerrito e pronto ad affrontare questo percorso che lo porterà a scoprire "i segreti" della fotografia.
Dal punto di vista tecnico le nostre corsiste scopriranno la loro macchina fotografica e le sue funzioni; in più, capiranno quali sono i principali elementi che costituiscono la base per la riuscita di una buona fotografia. Poi, se vorranno affinare la tecnica potranno proseguire con il corso Avanzato per migliorare anche il proprio gusto e il proprio stile.
Ma andiamo per ordine cominciando a raccontare la prima lezione del corso in cui, come di consueto, si è parlato di Storia della Fotografia.
E quando si parla di storia non si può che cominciare dalla prima macchina fotografica della storia: il Foro Stenopeico ( o Camera Obscura).
Già Aristotele nel quarto secolo a.C. costruì un gigantesco marchingegno capace di catturare un immagine e proiettarla su di un piano. Questo marchingegno chiamato camera obscura (le dimensioni erano in effetti pari a quelle di una stanza) nei secoli si è perfezionato sempre di più fino alla metà del cinquecento quando, venne aggiunta una lente ottica e in seguito un diaframma per migliorarne la qualità dell'immagine.
Giovanni Antonio Canal detto Canaletto
|
I primi a farne uso furono i pittori paesaggisti: le opere più significative sono sicuramente del Canaletto o di Guardi: le proiezioni durante la lezione hanno aiutato i nostri ragazzi a capire meglio l'uso che si faceva della camera obscura.
Un medico tedesco, Jhoann Schulze, fece la scoperta epocale che diede l'inizio alla fotografia: i sali d'argento erano sensibili alla luce!
Vista dalla finestra a Le Gras
|
Dalla prima immagine della storia, realizzata da Joseph Niépce nel 1827 dalla finestra del suo laboratorio con una lastra di peltro trattata con bitume di Giudea, la fotografia si è evoluta attraverso scoperte incredibili e spesso casuali; come quella di Louis Daguerre che, lasciata nel suo armadio chiuso una lastra d'argento sensibilizzata ed esposta alla luce, si accorse successivamente che l'immagine latente si era sviluppata grazie ai vapori di mercurio sprigionati da un termometro che sia era rotto all'interno dell'armadio. Era nato il dagherrotipo.
Dagherrotipo del 1837
|
Contemporaneamente a Daguerre, in un altro angolo del mondo, Henry Fox Talbot, al quale si può attribuire la scoperta del "callotipo", realizzò delle immagini negative su carta trattata con nitrato d'argento e sale comune che, stampata per contatto, dava delle immagini positive. Era nato il negativo fotografico.
Con il passare degli anni la tecnologia si è concentrata sul miglioramento dei materiali fotosensibili, permettendo in primis di ridurre i tempi di esposizione che, soprattutto nel periodo vittoriano, dove il ritratto fotografico si sviluppò a tal punto che il fotografo si sostituì al pittore, costringevano i soggetti fotografati a stare immobili davanti alla macchina fotografica per diversi minuti. Il fotografo, a tale scopo, utilizzava attrezzi di vera e propria tortura.
La costruzione del foro stenopeico è un momento di aggregazione che permette al gruppo, non ancora coeso, di familiarizzare creando quella complicità che ci tornerà molto utile nel proseguo del corso.
Tutti devono dare il loro contributo, ovviamente. E tutti si sono dati dare, anche il piccolo Carlo, mascotte ufficiale del gruppo.
Farsi una macchina fotografica "in casa" non vuol dire procurarsi chissà quali materiali: sono sufficienti un paio di forbici, un taglierino, una riga, un rotolo di scotch nero pesante di media larghezza, un ago molto sottile e un foglio di Carta di Spagna, facilmente reperibile nelle migliori ferramenta. Più naturalmente, un cartone abbastanza consistente (per durezza e spessore) che costituirà "il telaio" (o corpo) del nostro foro stenopeico.
La costruzione del foro stenopeico è un momento di aggregazione che permette al gruppo, non ancora coeso, di familiarizzare creando quella complicità che ci tornerà molto utile nel proseguo del corso.
Tutti devono dare il loro contributo, ovviamente. E tutti si sono dati dare, anche il piccolo Carlo, mascotte ufficiale del gruppo.
Farsi una macchina fotografica "in casa" non vuol dire procurarsi chissà quali materiali: sono sufficienti un paio di forbici, un taglierino, una riga, un rotolo di scotch nero pesante di media larghezza, un ago molto sottile e un foglio di Carta di Spagna, facilmente reperibile nelle migliori ferramenta. Più naturalmente, un cartone abbastanza consistente (per durezza e spessore) che costituirà "il telaio" (o corpo) del nostro foro stenopeico.
Una volta realizzati "gli stampi" non resta che assemblarli, con precisione e pazienza.
Un ruolo fondamentale è quello del foro: è importante che il buco da cui passerà la luce per impressionare la pellicola (o la carta fotografica, come nel nostro caso) sia il più preciso possibile in modo da ottenere un'immagine incisa e nitida.
La regola impone di intaccare la carta di spagna con un ago sottilissimo (0,25) e poi con una carta vetrata molto sottile strofinare un'ora per lato, fino ad ottenere un foro circolare perfetto.
Una volta assemblate tutte le parti assicurandole con del nastro adesivo, non ci resta che caricare la nostra macchina fotografica con un foglio di carta sensibile alla luce (o con della pellicola) e fare la prima foto ufficiale di questo corso.
Bisogna tenere sempre presente che i tempi di esposizione con questo tipo di macchine sono molto lunghi (anche se rispetto alle otto ore di Niepce questa precisazione fa sorridere) e quindi non è possibile fotografare soggetti umani a meno che non ci si trovi in pieno giorno con un'ottima luce (ma anche in questo caso la buona riuscita non è del tutto scontata).
Noi abbiamo le nostre solite ma pazientissime modelle che si sono prestate a realizzare il nostro scatto.
Il tempo di esposizione è stato di 45minuti con due illuminatori a luce continua da 1000watt cad.
Questo il risultato finale ottenuto non dopo essere entrati in camera oscura per sviluppare la nostra foto.
Quella che state vedendo è la versione in positivo, opportunamente invertita dal nostro Enrico con l'ausilio di Photoshop.
Ma in realtà l'immagine che il nostro foro stenopeico ha realizzato è in negativo, proprio come le comuni Reflex a pellicola che tutti conosciamo.
Perché il foro stenopeico funziona esattamente come una comunissima macchina fotografica, che sia in pellicola o digitale con l'unica differenza che, mentre nel foro stenopeico l'immagine trasportata dalla luce arriva diretta sul piano pellicola (proprio come succede nel Banco Ottico o negli apparecchi fotografici a pozzetto) e risulta rimpiccolita e capovolta (proprio come all'interno dell'occhio umano), sulla nostra Reflex la luce viene "deviata" da una serie di specchi posta all'interno del dorso e del pentaprisma (da qui il termine Reflex), che ci permettono di vedere l'immagine correttamente.
Un ruolo fondamentale è quello del foro: è importante che il buco da cui passerà la luce per impressionare la pellicola (o la carta fotografica, come nel nostro caso) sia il più preciso possibile in modo da ottenere un'immagine incisa e nitida.
La regola impone di intaccare la carta di spagna con un ago sottilissimo (0,25) e poi con una carta vetrata molto sottile strofinare un'ora per lato, fino ad ottenere un foro circolare perfetto.
Una volta assemblate tutte le parti assicurandole con del nastro adesivo, non ci resta che caricare la nostra macchina fotografica con un foglio di carta sensibile alla luce (o con della pellicola) e fare la prima foto ufficiale di questo corso.
Bisogna tenere sempre presente che i tempi di esposizione con questo tipo di macchine sono molto lunghi (anche se rispetto alle otto ore di Niepce questa precisazione fa sorridere) e quindi non è possibile fotografare soggetti umani a meno che non ci si trovi in pieno giorno con un'ottima luce (ma anche in questo caso la buona riuscita non è del tutto scontata).
Noi abbiamo le nostre solite ma pazientissime modelle che si sono prestate a realizzare il nostro scatto.
Il tempo di esposizione è stato di 45minuti con due illuminatori a luce continua da 1000watt cad.
Questo il risultato finale ottenuto non dopo essere entrati in camera oscura per sviluppare la nostra foto.
Quella che state vedendo è la versione in positivo, opportunamente invertita dal nostro Enrico con l'ausilio di Photoshop.
Ma in realtà l'immagine che il nostro foro stenopeico ha realizzato è in negativo, proprio come le comuni Reflex a pellicola che tutti conosciamo.
Perché il foro stenopeico funziona esattamente come una comunissima macchina fotografica, che sia in pellicola o digitale con l'unica differenza che, mentre nel foro stenopeico l'immagine trasportata dalla luce arriva diretta sul piano pellicola (proprio come succede nel Banco Ottico o negli apparecchi fotografici a pozzetto) e risulta rimpiccolita e capovolta (proprio come all'interno dell'occhio umano), sulla nostra Reflex la luce viene "deviata" da una serie di specchi posta all'interno del dorso e del pentaprisma (da qui il termine Reflex), che ci permettono di vedere l'immagine correttamente.
Nella foto a fianco si può notare perfettamente il percorso che la luce fa all'interno della macchina fotografica.
Quando stiamo inquadrando un soggetto noi vediamo l'immagine al dritto grazie agli specchi; poi, al momento dello scatto lo specchio, posto subito dietro l'obiettivo, si alza facendo in modo che la luce colpisca il negativo o il sensore posto sul fondo del dorso.
Torneremo sull'argomento in maniera più approfondita già dalla prossima lezione interamente dedicata alla tecnica.
Torneremo sull'argomento in maniera più approfondita già dalla prossima lezione interamente dedicata alla tecnica.
Per chiarire ulteriormente il concetto di camera obscura abbiamo proiettato il filmato che spiega il fantastico lavoro di un artista cubano, Abelardo Morell, che, oscurata una stanza di albergo a Venezia, ha fotografato con il suo banco ottico l'immagine che veniva proiettata all'interno della stanza, grazie ad un pertugio da cui filtrava un piccolo fascio luminoso.
Buona visione a tutti!
Buona visione a tutti!
Nessun commento:
Posta un commento