Lo sviluppo della pellicola e la stampa fine-art
Il nostro viaggio all'interno del laboratorio di stampa prosegue e dopo aver scoperto la camera chiara, dove abbiamo corretto i file digitali per mezzo di un software di photo editor, ora passiamo in camera oscura, il luogo in cui più di un secolo e mezzo fa nacque la fotografia.
Con l'ottava e ultima lezione si conclude il nostro viaggio (sia base che avanzato) alla scoperta della fotografia. Un percorso durato due mesi e che ora si conclude con la parte più "romantica" e affascinante di tutta la fotografia: la camera oscura.
La CO è il luogo in cui tutto ebbe inizio, dove i "pionieri" della fotografia fecero la prime scoperte, migliorarono i materiali fotosensibili, svilupparono le prime immagini fotografiche. Immagini che a distanza di quasi due secoli sono ancora lì a testimoniare ciò che era: chissà se la fotografia digitale potrà mai eguagliare tale primato.
In molti si chiedono che senso abbia una lezione di questo genere in un mondo oramai completamente digitalizzato. Beh, noi crediamo che in un corso di fotografia - ma vale anche per chi lo fa di mestiere - è importante conoscere anzitutto le origini; il perché certe cose accadono e come si sono sviluppate nel corso dei secoli. Perché tutto quello che in campo fotografico noi conosciamo nasce da qui, dalla camera oscura.
Da quella fotografia che oggi definiamo analogica ma che in realtà altro non è che la fotografia punto e basta.
Inoltre, cosa non trascurabile, per la maggior parte dei nostri ragazzi questa resterà un'esperienza unica: quasi sicuramente irripetibile. E non è poco.
Naturalmente durante le lezioni di scatto in sala posa abbiamo si utilizzato il digitale, ma anche la pellicola (rigorosamente in bianco e nero) e ora non ci resta che svilupparla.
Lo sviluppo della pellicola è un momento molto delicato, diremmo “decisivo”. E' dalla corretta esecuzione di questo processo che si determinerà il risultato finale della nostra immagine: fotografia. Come ci ricordava Ansel Adams, un Grande Maestro della fotografia e per molti il miglior stampatore in camera oscura della storia, il negativo è come uno spartito musicale e come tale è un'opera unica. I musicisti (come gli stampatori in fotografia) che si alterneranno nell'esecuzione di un determinato brano musicale (la stampa finale per lo stampatore) potranno eseguire quella musica a seconda della loro preparazione o stile, in maniera completamente differente l'uno dall'altro (proprio come uno stampatore farà diversamente da un altro) , ma l'unicità di quelle note scritte sul pentagramma (il negativo fotografico) sarà sempre del compositore che ve le ha apposte sopra (lo scatto del fotografo più la fase di sviluppo).
Quindi non è difficile capire quanto sia importante, per non dire fondamentale, lo sviluppo della pellicola: ogni difetto, ogni errore durante la fase di sviluppo, accompagnerà per sempre (fatta eccezione per alcuni rarissimi casi) quella pellicola e sarà visibile in ogni stampa a prescindere da chi sarà l'esecutore (stampatore).
Il processo di sviluppo (solo in apparenza semplice) richiede sostanzialmente due elementi fondamentali: precisione e pulizia.
La precisione è basilare: i tempi così come le temperature dei bagni chimici devono essere rispettate alla lettera (soprattutto quando si è alle prime esperienze). Come alla lettera va rispettata la tipologia di sviluppo a seconda del tipo di chimico a disposizione e pellicola da sviluppare.
Ed è bene far si che l'esecuzione materiale del processo avvenga sempre allo stesso modo, in maniera metodica (più avanti lo vedremo in dettaglio) così da avere un risultato sempre costante.
Come per tutte le cose, lo sviluppo della pellicola esige pratica per acquisire quella giusta dose di esperienza che ci permette di fare “la differenza”.
Per sv una pellicola si ha bisogno di:
una Tank di sviluppo: un contenitore a tenuta di luce che permette al liquido (chimica) di entrare ed eseguire tutto il processo di sviluppo ma senza far entrare la luce perché lo ricordiamo, molto importante, al contrario della stampa ai sali d'argento (che affrontiamo più avanti) che si esegue in luce di sicurezza (rossa), la pellicola va caricata nella tank in condizioni di buio assoluto, così come avviene il processo chimico all'interno di essa.
La Tank è composta da una spirale su cui va caricata (al buio) la pellicola: la sua particolare forma a spirale fa si che la pellicola resti sempre “separata” durante il caricamento, così da evitare che due parti di pellicola possano venire a contatto durante lo sviluppo.
Poi c'è un'anima centrale, che costituisce il perno dove va alloggiata la spirale.
Un tappo a tenuta luce che ha la peculiarità (come sottolineato prima) di far entrare il liquido ma non la luce.
Infine esistono tutta una serie di accessori che ci aiutano nella fase di caricamento ma non sono indispensabili.
Preparata la Tank con la nostra pellicola all'interno, non ci resta che iniziare il processo di sviluppo.
Il processo di sviluppo è regolato da un rapporto inversamente proporzionale tra il tempo (in minuti) e la temperatura (in gradi centigradi), dove all'aumentare del primo diminuisce il secondo (e viceversa). Naturalmente le case costruttrici dei vari prodotti ci aiutano, attraverso una serie di tabelle di riferimento, a sapere quali sono i tempi di sviluppo per ogni tipo di pellicola in base al tipo di sviluppo usato. La temperatura di riferimento è sempre uguale (20 gradi) ma può essere modificata in base al risultato che si vuole ottenere. Molto importante per tutti coloro che vogliono provare a sv da soli le proprie pellicole e non hanno ancora sufficiente esperienza: non modificate i tempi di sviluppo a seconda di come “vi gira” ma rispettate le istruzioni riportate nelle tabelle di riferimento che non sono state messe lì per caso. Poi, con il tempo, quando vi sentirete sicuri di poter “gestire” il risultato finale (dopo alcune centinaia di pellicole sviluppate), potete pensare di apportare delle modifiche per affinare la tecnica e il gusto.
Lo sviluppo della pellicola si divide in cinque fasi fondamentali più l'asciugatura che può essere anche eseguita all'aria dell'ambiente purché ci si assicuri che non ci sia troppa polvere in giro.
Le fasi sono: sviluppo, arresto, fissaggio, lavaggio in acqua corrente e imbibente. Vediamole in dettaglio.
Lo sviluppo è una soluzione basica (PH superiore a 7) ed è costituito da una serie di elementi tra cui i reattori (i più comuni sono il Metolo e l'Idrochinone) che hanno la funzione di trasformare l'argento esposto alla luce in argento nero metallico. Così facendo l'immagine latente formatasi al momento dello scatto, diviene visibile e in negativo.
Ci sono molteplici tipi di sviluppi, alcuni specifici per determinate pellicole, altri universali che possono essere impiegati per una vasta gamma di pellicole e sensibilità differenti.
Lo sviluppo si prepara diluendo la soluzione base in parti di acqua: la diluizione più comune è 1:4 che sta a significare che ad una parte di prodotto base vanno aggiunte quattro parti di acqua ad una temperatura di 20°. Noi abbiamo utilizzato uno sviluppo universale con diluizione 1:9. La pellicola un HP5 400iso tirato a 800iso (cioè sottoesposto in fase di ripresa di due stop).
Durante la fase di sviluppo si esegue un agitazione costante ogni 30/60 secondi a seconda del risultato che si vuole ottenere. Maggiore sarà l'agitazione, più evidente risulterà il contrasto sulla pellicola.
E' bene eseguire questa operazione in maniera metodica in modo da ottenere un risultato costante.
Scaduto il tempo stabilito per quel tipo di pellicola, si toglie lo sviluppo e s'inserisce il bagno di arresto. L'arresto è una soluzione acida (PH inferiore a 7) che ha la funzione di bloccare l'azione dello sv. E' costituito da acido acetico glaciale con diluizione in acqua 1:40 e va tenuto in tank per un tempo massimo di un minuto. Per questo bagno si può utilizzare anche acido citrico che, al contrario dell'acido acetico, è inodore e non infastidisce gli occhi o le mucose del naso se inavvertitamente inalato.
Alcuni usano semplicemente l'acqua come bagno di arresto: è sconsigliato, soprattutto per le pellicole ad alta sensibilità.
La sua funzione, oltre a fissare l'immagine nel tempo ed impedire che nella pellicola si formino delle macchie, è quella di eliminare tutto l'argento che non è stato esposto alla luce. Si diluisce in acqua e, al contrario dello sviluppo che è un bagno “ a perdere” nella stragrande maggioranza dei casi, il fissaggio si conserva per molto tempo anche dopo la diluizione in acqua, in modo da poter essere riutilizzato per diverse volte.
Terminata la fase di fissaggio si può togliere il tappo della tank e verificare se l'intero processo è stato eseguito correttamente.
Mai aprire la tank prima che la fase di fissaggio non sia completa perché la pellicola è ancora sensibile alla luce.
Ma il lavoro non è ancora terminato. Dopo il fissaggio la pellicola va lavata in acqua corrente per almeno 20 minuti (l'ideale è 30 minuti) in modo che ogni residuo di fissaggio venga eliminato a fondo. In caso contrario, tracce di fissaggio a contatto con l'aria potrebbero causare delle macchie indelebili che rovinerebbero irrimediabilmente la nostra pellicola (e il nostro lavoro).
Terminata la fase di lavaggio si inserisce nella tank ancora piena d'acqua, delle gocce di imbibente, un anticalcare che impedisce all'acqua stessa di lasciare macchie sulla pellicola.
Perché se nel digitale la foto è subito pronta da vedere, nel display della macchina, quando si usa la pellicola non si è mai sicuri di quello che si è fatto fino al momento dell'asciugatura finale. Un attesa che rende questo sistema di lavoro unico e affascinante.
Quando la pellicola è asciutta perfettamente si fa un provino a contatto per scegliere il negativo da ingrandire per quella che sarà una stampa fine-art .
Fatta la scelta si passa alla stampa per mezzo di un apparecchio che permette di ingrandire il nostro negativo proiettandolo su un piano di stampa in base al formato che vogliamo stampare: l'ingranditore.
L'ingranditore è lo strumento che ci permette di stampare le nostre foto grazie alla sua capacità di ingrandire il negativo, posto all'interno del porta negativi, per mezzo di una testa regolabile in altezza, costituita da una lampada, che manda il fascio luminoso verso il piano di stampa; un diffusore (come nel nostro caso), che diffonde la luce su tutta la superficie del negativo; e un obiettivo che proietta l'immagine negativa del nostro soggetto da stampare sul piano di stampa.
Ci sono diversi tipologie di ingranditori. Tra i più comuni troviamo quelli a luce diffusa (appunto, come nel nostro caso), che grazie ad un box diffusore posto sotto la lampada, diffondono la luce su tutta la superficie del fotogramma da ogni direzione e permettono di realizzare stampe mediamente morbide. Questi ingranditori sono tra i più usati anche a livello professionale.
Poi ci sono gli ingranditori a luce condensata
che non hanno un diffusore bensì due lenti (condensatori) che convogliano il fascio luminoso direttamente sulla pellicola in linea retta. Questo fa si che le stampe, per via dell'effetto Callier, vengano molto più contrastate e piene di dettagli.
La carta fotografica bianco e nero è costituita da un emulsione ai sali d'argento e da un supporto cartaceo. I sali d'argento che costituiscono l'emulsione sono generalmente di tre tipi: cloro, bromo e iodio. Le carte al cloro sono solitamente utilizzate per la provinatura a contatto grazie al loro basso contrasto che permette di vedere molti dettagli anche nelle condizioni più estreme, sia nelle alte luce che sui neri. Le carte al bromo più cloro sono quelle più utilizzate in commercio e offrono la migliore gamma tonale nella scala dei grigi.
Le carte foto-sensibili si dividono in due categorie: politenate (RC) dove l'emulsione fotografica è protetta da uno strato di poliestere; baritate (FB) in cui l'emulsione è stesa sotto uno strato di barite che la protegge e permette alla chimica (sviluppo etc etc) di penetrare all'interno delle fibre della carta. Quest'ultime sono molto pregiate e la qualità di stampa, rispetto alle più diffuse politenate è decisamente superiore (stampa fine-art).
Queste due categorie possono essere suddivise in due famiglie ben distinte: carte a contrasto fisso, che va da 0 a 5, e a contrasto variabile dove l'utilizzo di filtri (il magenta e il giallo) posti davanti all'obiettivo da stampa, permettono di variare il valore di contrasto a seconda del tipo di esigenze, negativo, etc etc. Il filtro magenta aumenta il contrasto, quello giallo lo diminuisce. Le carte a contrasto fisso sono ritenute quelle di maggiore qualità mentre le carte a contrasto variabile (VC) sono le più diffuse in commercio. Per esperienza possiamo garantire che esistono carte a contrasto variabile di ottima qualità come la Multigrade FB 1k della Il Ford, oppure l'Agfa Multicontrast MCC lucida non smaltata. La scelta della carta è sempre un fattore soggettivo.
Anche le superfici delle carte sono molteplici. Si va dalle opache matt o semi-matt, alle satinate fino ad arrivare alle perla e lucide. Nella stampa fine-art l'optimum per moltissimi stampatori professionisti è la Ilfobrom Galery 1k lucida non smaltata sviluppata in Dektol.
Purtroppo con l'avvento del digitale moltissimi di questi meravigliosi materiali sono oramai estinti; e i pochi che ancora si trovano in commercio sono di difficile reperibilità a causa dei costi (in primis) e alle difficoltà di smaltimento.
La carta fotografica in bianco e nero va trattata solo in luce di sicurezza rossa.
Una volta sistemato il negativo sull'ingranditore e regolata l'altezza dell'ingranditore al fine di ottenere l'ingrandimento scelto - nel nostro caso un 20x30cm - non resta che mettere a fuoco l'immagine.
Ma in fase di stampa non è possibile mettere a fuoco "a occhio", ci vuole uno strumento detto focometro che ha la capacità di focalizzare la grana della pellicola. Quando la grana sarà perfettamente nitida (a fuoco) saremo certi che la nostra stampa sarà perfettamente a fuoco.
Bene, fatto il fuoco non ci resta che fare un provino per trovare la giusta quantità di luce necessaria alla corretta esposizione della stampa. Il provino sarà eseguito con una tecnica detta a scalare, cioè con il medesimo pezzo di carta si eseguono tre esposizioni con uno scarto di cinque secondi per ottenere tre porzioni di immagine in cui la prima sarà di 15s la seconda di 10s la terza di 5s. In questo modo si risparmia carta fotografica (assai costosa) e si ha una buona panoramica dell'insieme.
Il provino, così come la stampa finale, viene sviluppato in bacinella seguendo il processo chimico che prevede le seguenti fasi: sviluppo, arresto e fissaggio. La stampa finale verrà poi successivamente lavata in acqua corrente. Al contrario della pellicola, nella stampa non è necessario utilizzare un anticalcaree (imbibente) ma ci sono dei prodotti che facilitano il lavaggio riducendo i tempi.
Trovato il giusto di tempo di esposizione torniamo all'ingranditore per eseguire la stampa finale.
Dal provino ci siamo accorti subito che c'erano differenze di valori tonali tra le alte luci (i bianchi) e le zone più scure (i neri), quindi, durante la fase di esposizione all'ingranditore sarà necessario effettuare diverse esposizioni, a seconda delle zone, per poter ottenere una stampa il più equilibrata possibile. Queste operazioni di stampa, denominate mascherature o bruciature, ci permettono di ottenere una stampa equilibrata e corretta. E' proprio l'intervento dello stampatore che fa la differenza in quella che si può definire stampa fine-art.
Una foto è sempre in debito di gratitudine con chi sa tradurla in una bella stampa (C. Marras).
Alla fine siamo sostanzialmente soddisfatti e i ragazzi hanno compreso come sia laborioso e creativo il lavoro in camera oscura. Un lavoro che richiede passione, prima di tutto.
Con questa, noi crediamo, splendida esperienza, si chiudono i corsi base e avanzato.
Un immenso grazie a tutti i corsisti che ci hanno accompagnato in questo percorso e che si sono dimostrati attenti e interessati.
Con la speranza che la passione per la fotografia non li abbandoni mai, noi vi diamo appuntamento al prossimo corso.
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