E come da programma, nelle due lezioni di lunedì e mercoledì con i nostri due gruppi di corsisti, abbiamo cominciato con lo sviluppo della pellicola.
Lo sviluppo della pellicola è una pratica affascinante e all'apparenza può sembrare molto semplice, in cui la metodologia del trattamento fa da linea guida affinché il risultato finale sia perfetto, ma dove ogni passaggio è fondamentale e l'errore non è assolutamente ammesso!
Insomma, può sembrare facile ma non lo è affatto!
Dopo un breve cenno sulle caratteristiche principali delle pellicole, sulla gelatina animale e i sali d'argento che compongono l'emulsione fotosensibile (il brodo di manzo per fare la gelatina necessaria all'emulsione fotografica ha stupito tutti i nostri corsisti), sulle varie differenze di sensibilità ISO e di come queste influiscono sulla definizione dell'immagine attraverso l'aspetto più o meno evidente della grana, la lezione è proseguita con la descrizione dei materiali necessari per poter sviluppare le pellicole che avevamo scattato in sala posa: la Tank di sviluppo, il contenitore a tenuta di luce necessario ad accogliere la pellicola da sviluppare; la spirale, dove viene accuratamente caricata la pellicola; l'anima, il perno di plastica dove viene alloggiata la spirale all'interno della tank; il tappo, che permette di far entrare i prodotti chimici necessari al trattamento senza però far passare la luce. Infine, i prodotti chimici: lo sviluppo, che trasforma i sali d'argento dell'immagine latente in argento nero metallico, con le sue caratteristiche principali; l'arresto, il bagno intermedio che blocca l'azione dello sviluppo; il fissaggio, che fissa l'emulsione sviluppata ed elimina tutto l'argento non esposto alla luce.
Quella che credevamo fosse la parte più complicata, il caricamento della pellicola sulla spirale, si è invece rivelata una vera e propria sorpresa con i nostri corsisti che sono stati davvero bravi: certo, i primi tentativi sono stati fatti con la luce accesa e quando gli si è chiesto di ripetere tale operazione chiudendo gli occhi, per ricreare il buio necessario come fossimo in camera oscura, bè, forse qualcuno ha barato un pochino ma non fa niente. Tutti hanno capito il funzionamento e se dovessero mai provare a svilupparsi le loro pellicole da soli, solo con la pratica potranno migliorare la loro tecnica.
Nell'illustrare il metodo di caricamento non abbiamo tralasciato di far vedere due tipi di spirali per il caricamento della pellicola: ce ne sono tanti, ma questi sono forse i due modelli più usati.
La Jobo, più economica ma molto versatile con la possibilità di sviluppare due pellicole contemporaneamente, nel caso della pellicola 120mm, e la Paterson, un pò più costosa ma che permette una maggiore facilità di caricamento rispetto alla Jobo grazie ad una piccolissima sfera all'interno che aiuta la pellicola a scivolare all'intero della spire. Qui sotto vediamo i due modelli dove nella Paterson è evidenziata la piccola sfera.
Spirale Paterson |
Spirale Jobo |
Inoltre, il sistema Jobo permette di poter sviluppare un numero maggiore di pellicole grazie ai tubi di prolunga da agganciare alla tank di base.
Tubo di prolunga Jobo |
Descritti i vari passaggi è venuto il momento di entrare in camera oscura.
Nel buio più assoluto abbiamo caricato la nostra pellicola nella spirale e una volta riaccesa la luce, ci siamo messi a preparare i nostri bagni per il trattamento.
Abbiamo sviluppato con due tipi di sviluppo differenti nei due giorni di lezione: al lunedì abbiamo preparato uno sviluppo con ILFOTEC HC diluizione 1:31 mentre nella lezione del mercoledì è stato preparato uno sviluppo T-Max diluizione 1:4. In entrambe le sviluppate sono state trattate pellicole Tri-x 400 e Neopan 400.
Visto il gran caldo di questi gironi, abbiamo faticato non poco a tenere "a bada" la temperatura di sviluppo e alla fine abbiamo optato per una temperatura di sviluppo di 22gradi centigradi. Come spiegato ai nostri corsisti, la temperatura è inversamente proporzionale al tempo di sviluppo differente tra pellicola e pellicola e quindi anziché sviluppare 8 minuti a 20°, dovendo lavorare con una temperatura di 22°, abbiamo tolto un minuto al tempo di sviluppo. Il contrasto è stato un pò elevato ma il risultato finale è stato più che eccellente.
Nell'eseguire la fase di sviluppo sono stati messi in evidenza tutti quegli aspetti fondamentali che possono determinare differenze di risultato. La metodologia è sempre la stessa con le varie fasi del trattamento che si susseguono con un ordine ben preciso (sviluppo arresto fissaggio) ma dove l'errore è per sempre, perchè come diceva Ansel Adams, uno dei grandi Maestri della camera oscura nonché grandissimo fotografo, "lo sviluppo della pellicola è come la scrittura delle note sul pentagramma di uno spartito musicale". La stampa all'ingranditore potrà essere eseguita infinite volte ma lo sviluppo del negativo è un momento unico e irripetibile.
Trattamento della pellicola |
Versato lo sviluppo nella tank, abbiamo cominciato l'agitazione continua per il primo minuto, per poi proseguire ad intervalli regolari ogni trenta secondi agitando un paio di volte la tank: l'agitazione può essere effettuata anche ogni minuto a seconda del tipo di contrasto che si vuole ottenere. Dopo ogni agitazione, un bel colpetto sulla base della tank per evitare che le bolle d'aria potessero danneggiare irrimediabilmente la nostra pellicola. Lo sviluppo, come già accennato sopra, grazie ai suoi reagenti trasforma gli alogenuri d'argento in argento nero metallico tirando fuori l'immagine latente sull'emulsione.
Trascorsi sette minuti abbiamo tolto lo sviluppo e messo il bagno d'arresto che essendo un acido (acido acetico o acido citrico), contrasta il bagno di sviluppo, che al contrario è alcalino (PH superiore a 7), e ne blocca l'azione.
Un minuto di agitazione continua e via con il terzo bagno, il fissaggio.
L'iposolfito di sodio, l'elemento base che costituisce il fissaggio utilizzato, ha la funzione di fissare l'immagine fotografica sull'emulsione ma soprattutto di eliminare i sali d'argento che non sono stati esposti al momento dello scatto fotografico. Prima del fissaggio, infatti, la pellicola è ancora sensibile alla luce e non si può ancora aprire la tank. Anche per il fissaggio occorre una agitazione che permetta al liquido di agire in maniera uniforme e poi giù con il lavaggio ad acqua corrente per una quindicina di minuti.
Terminata la fase di lavaggio, l'ultimo trattamento è stato il bagno imbibente, una soluzione che permette al calcare dell'acqua di scivolare via dalla pellicola che altrimenti, se vi restasse attaccato, verrebbe danneggiata con macchie e aloni.
Infine, abbiamo messo la nostra pellicola dentro il forno per l'asciugatura: ma senza accenderlo...il caldo era già insopportabile così!
Abbiamo affrontato il primo step riguardante la camera oscura: lo sviluppo della pellicola. In questo mondo sempre più digitalizzato questa pratica non perde mai il suo meraviglioso fascino che, come crediamo, ha conquistato anche i nostri corsisti.
Ora non ci resta che stampare i nostri negativi all'ingranditore ma non nella prossima lezione: lasciamo che questa esperienza resti ancora viva nel loro ricordo... al prossimo incontro, lunedì 25 Giugno, tutti i corsisti di entrambi i gruppi sono chiamati all'appello per una lezione sul digitale.
Seguirà comunicazione ufficiale.
ottimo! questo blog ci permette di ripassare fin nei particolari tutti gli argomenti trattati nella lezione! grazie!
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