Corso Base Lug/Ago 2013: sesta e settima lezione




Lo Sviluppo della pellicola e la Stampa ai sali d'argento


Con la quinta lezione si è conclusa la prima parte del corso dedicata ai principali concetti della teoria fotografica: concetti poi ampiamente sviscerati attraverso prove pratiche, nelle tre lezioni interamente passate in sala posa a fotografare.
Con la sesta e settima lezione “entriamo” all'interno dei laboratori: nel “dietro le quinte” dove tutti i nostri sforzi durante la fase di scatto, nel tentativo di realizzare quell'idea che ancor prima nella macchina fotografica avevamo nella nostra testa, possano prendere finalmente forma in un immagine fotografica: su carta oppure sul monitor, nel caso del digitale, del nostro computer.
In questo step parliamo di Camera Oscura, quindi di pellicola e stampa ai sali d'argento.




Le tre lezioni di scatto in sala posa ci sono servite non solo a capire meglio i concetti fondamentali, ma anche a produrre il “materiale” fotografico da sviluppare poi nei nostri laboratori: sia per quanto riguarda l'analogico, quindi la pellicola fotografica (rigorosamente in bianco e nero) che il digitale.
Non potevamo che cominciare dalla pellicola, cioè dalle origini.

Lo sviluppo della pellicola è un momento molto delicato, diremmo “decisivo”. E' dalla corretta esecuzione di questo processo che si determinerà il risultato finale della nostra immagine: fotografia. Come ci ricordava Ansel Adams, un Grande Maestro della fotografia e per molti il miglior stampatore in camera oscura della storia, il negativo è come uno spartito musicale e come tale è un'opera unica. I musicisti (come gli stampatori in fotografia) che si alterneranno nell'esecuzione di un determinato brano musicale (la stampa finale per lo stampatore) potranno eseguire quella musica a seconda della loro preparazione o stile, in maniera completamente differente l'uno dall'altro (proprio come uno stampatore farà diversamente da un altro) , ma l'unicità di quelle note scritte sul pentagramma (il negativo fotografico) sarà sempre del compositore che ve le ha apposte sopra (lo scatto del fotografo più la fase di sviluppo).
Quindi non difficile capire quanto sia importante, per non dire fondamentale, lo sviluppo della pellicola: ogni difetto, ogni errore durante la fase di sviluppo, accompagnerà per sempre (fatta eccezione per alcuni rarissimi casi) quella pellicola e sarà visibile in ogni stampa a prescindere da chi sarà l'esecutore (stampatore).

Il processo di sviluppo (solo in apparenza semplice) richiede sostanzialmente due elementi fondamentali: precisione e pulizia.
La precisione è basilare: i tempi così come le temperature dei bagni chimici devono essere rispettate alla lettera (soprattutto quando si è alle prime esperienze). Come alla lettera va rispettata la tipologia di sviluppo a seconda del tipo di chimico a disposizione e pellicola da sviluppare.
Ed è bene far si che l'esecuzione materiale del processo avvenga sempre allo stesso modo, in maniera metodica (più avanti lo vedremo in dettaglio) così da avere un risultato sempre costante.
Come per tutte le cose, lo sviluppo della pellicola esige pratica per acquisire quella giusta dose di esperienza che ci permette di fare “la differenza”.



Per sv una pellicola si ha bisogno di:
una Tank di sviluppo: un contenitore a tenuta di luce che permette al liquido (chimica) di entrare ed eseguire tutto il processo di sviluppo ma senza far entrare la luce perché lo ricordiamo, molto importante, al contrario della stampa ai sali d'argento (che affrontiamo più avanti) che si esegue in luce di sicurezza (rossa), la pellicola va caricata nella tank in condizioni di buio assoluto, così come avviene il processo chimico all'interno di essa.
La Tank è composta da una spirale su cui va caricata (al buio) la pellicola: la sua particolare forma a spirale fa si che la pellicola resti sempre “separata” durante il caricamento, così da evitare che due parti di pellicola possano venire a contatto durante lo sviluppo.
Poi c'è un'anima centrale, che costituisce il perno dove va alloggiata la spirale.
Un tappo a tenuta luce che ha la peculiarità (come sottolineato prima) di far entrare il liquido ma non la luce.
Infine esistono tutta una serie di accessori che ci aiutano nella fase di caricamento ma non sono indispensabili.

Svilupparsi in casa le proprie pellicole non è un'impresa così ardua come può sembrare: è sufficiente un bagno che possa essere messo in assoluta oscurità, l'attrezzatura necessaria (che non implica costi così proibitivi) e tanta passione. I risultati, con il tempo, ripagano sempre di ogni sforzo.

Preparata la Tank con la nostra pellicola all'interno, non ci resta che iniziare il processo di sviluppo.

Il processo di sviluppo è regolato da un rapporto inversamente proporzionale tra il tempo (in minuti) e la temperatura (in gradi centigradi), dove all'aumentare del primo diminuisce il secondo (e viceversa). Naturalmente le case costruttrici dei vari prodotti ci aiutano, attraverso una serie di tabelle di riferimento, a sapere quali sono i tempi di sviluppo per ogni tipo di pellicola in base al tipo di sviluppo usato. La temperatura di riferimento è sempre uguale (20 gradi) ma può essere modificata in base al risultato che si vuole ottenere. Molto importante per tutti coloro che vogliono provare a sv da soli le proprie pellicole e non hanno ancora sufficiente esperienza: non modificate i tempi di sviluppo a seconda di come “vi gira” ma rispettate le istruzioni riportate nelle tabelle di riferimento che non sono state messe lì per caso. Poi, con il tempo, quando vi sentirete sicuri di poter “gestire” il risultato finale (dopo alcune centinaia di pellicole sviluppate), potete pensare di apportare delle modifiche per affinare la tecnica e il gusto.

Lo sviluppo della pellicola si divide in cinque fasi fondamentali più l'asciugatura che può essere anche eseguita all'aria dell'ambiente purché ci si assicuri che non ci sia troppa polvere in giro.
Le fasi sono: sviluppo, arresto, fissaggio, lavaggio in acqua corrente e imbibente. Vediamole in dettaglio.

Lo sviluppo è una soluzione basica (PH superiore a 7) ed è costituito da una serie di elementi tra cui i reattori (i più comuni sono il Metolo e l'Idrochinone) che hanno la funzione di trasformare l'argento esposto alla luce in argento nero metallico. Così facendo l'immagine latente formatasi al momento dello scatto, diviene visibile e in negativo.
Ci sono molteplici tipi di sviluppi, alcuni specifici per determinate pellicole, altri universali che possono essere impiegati per una vasta gamma di pellicole e sensibilità differenti.
Lo sviluppo si prepara diluendo la soluzione base in parti di acqua: la diluizione più comune è 1:4 che sta a significare che ad una parte di prodotto base vanno aggiunte quattro parti di acqua ad una temperatura di 20°.
La fase di sviluppo è molto importante. In essa è dipeso l'intero risultato finale. Dopo aver versato lo sviluppo all'interno della tank, si comincia un'agitazione costante per i primi sessanta secondi. Poi, a seconda del valore di contrasto che si vuole ottenere, si procede con un'agitazione ogni trenta secondi. Maggiore sarà l'agitazione dello sviluppo all'interno della tank, maggiore sarà il contrasto della pellicola. Il tutto entro certi limiti.


E' bene eseguire questa operazione in maniera metodica in modo da ottenere un risultato costante.

Scaduto il tempo stabilito per quel tipo di pellicola, si toglie lo sviluppo e s'inserisce il bagno di arresto. L'arresto è una soluzione acida (PH inferiore a 7) che ha la funzione di bloccare l'azione dello sv. E' costituito da acido acetico glaciale con diluizione in acqua 1:40 e va tenuto in tank per un tempo massimo di un minuto. Per questo bagno si può utilizzare anche acido citrico che, al contrario dell'acido acetico, è inodore e non infastidisce gli occhi o le mucose del naso se inavvertitamente inalato.
Alcuni usano semplicemente l'acqua come bagno di arresto: è sconsigliato, soprattutto per le pellicole ad alta sensibilità.

Tolto l'arresto si passa alla terza fase: il fissaggio. Il fissaggio è una soluzione acida e i più comuni sono costituiti in gran parte da Iposolfito di Sodio.
La sua funzione, oltre a fissare l'immagine nel tempo ed impedire che nella pellicola si formino delle macchie, è quella di eliminare tutto l'argento che non è stato esposto alla luce. Si diluisce in acqua e, al contrario dello sviluppo che è un bagno “ a perdere” nella stragrande maggioranza dei casi, il fissaggio si conserva per molto tempo anche dopo la diluizione in acqua, in modo da poter essere riutilizzato per diverse volte.

Terminata la fase di fissaggio si può togliere il tappo della tank e verificare se l'intero processo è stato eseguito correttamente.
Mai aprire la tank prima che la fase di fissaggio non sia completa perché la pellicola è ancora sensibile alla luce.

Ma il lavoro non è ancora terminato. Dopo il fissaggio la pellicola va lavata in acqua corrente per almeno 20 minuti (l'ideale è 30 minuti) in modo che ogni residuo di fissaggio venga eliminato a fondo. In caso contrario, tracce di fissaggio a contatto con l'aria potrebbero causare delle macchie indelebili che rovinerebbero irrimediabilmente la nostra pellicola (e il nostro lavoro).

Terminata la fase di lavaggio si inserisce nella tank ancora piena d'acqua, delle gocce di imbibente, un anticalcare che impedisce all'acqua stessa di lasciare macchie sulla pellicola.

Infine l'asciugatura, dove possiamo già ammirare il nostro lavoro svolto in trepidante attesa.
Perché se nel digitale la foto è subito pronta da vedere, nel display della macchina, quando si usa la pellicola non si è mai sicuri di quello che si è fatto fino al momento dell'asciugatura finale. Un attesa che rende questo sistema di lavoro unico e affascinante.

I nostri ragazzi si sono mossi con estrema disinvoltura e hanno dimostrato ottimo interesse verso la camera oscura. Ma questo non è che il primo step, ora dobbiamo stampare la nostra pellicola.

Non è un caso se in tutti i nostri corsi la parte dedicata alla camera oscura è quella che riscuote sempre maggior curiosità. In fondo per molti (quasi per tutti) nostri corsisti l'esperienza vissuta con noi in CO rimarrà unica e quindi l'interesse è sempre al 100%.

La nostra pellicola è perfettamente asciutta ma per poter scegliere quale foto stampare abbiamo bisogno di realizzare dei provini a contatto di tutti gli scatti eseguiti.


Tagliamo la pellicola in strisce da sei fotogrammi (si possono anche tagliare a cinque o a quattro, anche se lo sconsigliamo) e le disponiamo sopra un foglio di carta fotografica. Poi, con un vetro o un torchio facciamo in modo che queste siano perfettamente aderenti al foglio (altrimenti il nostro provino verrebbe sfocato). Naturalmente questa operazione va eseguita in luce di sicurezza rossa perché la carta fotografica bianco e nero è sensibile a tutti i colori dello spettro luminoso ad eccezione del rosso.

Con la nostra stampa di provini a contatto, accuratamente sviluppata, lavata e asciugata, possiamo scegliere quei fotogrammi che ci serviranno per realizzare le nostre stampe ai sali d'argento.

La carta fotografica bianco e nero è costituita da un emulsione ai sali d'argento e da un supporto cartaceo. I sali d'argento che costituiscono l'emulsione sono generalmente di tre tipi: cloro, bromo e iodio. Le carte al cloro sono solitamente utilizzate per la provinatura a contatto grazie al loro basso contrasto che permette di vedere molti dettagli anche nelle condizioni più estreme, sia nelle alte luce che sui neri. Le carte al bromo più cloro sono quelle più utilizzate in commercio e offrono la migliore gamma tonale nella scala dei grigi.


Le carte foto-sensibili si dividono in due categorie: politenate (RC) dove l'emulsione fotografica è protetta da uno strato di poliestere; baritate (FB) in cui l'emulsione è stesa sotto uno strato di barite che la protegge e permette alla chimica (sviluppo etc etc) di penetrare all'interno delle fibre della carta. Quest'ultime sono molto pregiate e la qualità di stampa, rispetto alle più diffuse politenate è decisamente superiore (stampa fine-art).
Queste due categorie possono essere suddivise in due famiglie ben distinte: carte a contrasto fisso, che va da 0 a 5, e a contrasto variabile dove l'utilizzo di filtri (il magenta e il giallo) posti davanti all'obiettivo da stampa, permettono di variare il valore di contrasto a seconda del tipo di esigenze, negativo, etc etc. Il filtro magenta aumenta il contrasto, quello giallo lo diminuisce. Le carte a contrasto fisso sono ritenute quelle di maggiore qualità mentre le carte a contrasto variabile (VC) sono le più diffuse in commercio. Per esperienza possiamo garantire che esistono carte a contrasto variabile di ottima qualità come la Multigrade FB 1k della Il Ford, oppure l'Agfa Multicontrast MCC lucida non smaltata. La scelta della carta è sempre un fattore soggettivo.
Anche le superfici delle carte sono molteplici. Si va dalle opache matt o semi-matt, alle satinate fino ad arrivare alle perla e lucide. Nella stampa fine-art l'optimum per moltissimi stampatori professionisti è la Ilfobrom Galery 1k lucida non smaltata sviluppata in Dektol.
Purtroppo con l'avvento del digitale moltissimi di questi meravigliosi materiali sono oramai estinti; e i pochi che ancora si trovano in commercio sono di difficile reperibilità a causa dei costi (in primis) e alle difficoltà di smaltimento.

La carta fotografica in bianco e nero va trattata solo in luce di sicurezza rossa.

Fatta questa piccolissima panoramica sulle carte fotografiche, cominciamo a scoprire la nostra camera oscura.
Una camera oscura è costituita da due parti ben distinte: la parte umida, dove avviene il processo chimico e dove ci sono tutti i contenitori necessari alla preparazione dei bagni; una parte asciutta dove si conservano le carte fotografiche e tutto il necessario per la stampa oltre all'elemento fondamentale senza in quale non potremmo realizzare le nostre stampe fotografiche: l'ingranditore!



L'ingranditore è lo strumento che ci permette di stampare le nostre foto grazie alla sua capacità di ingrandire il negativo, posto all'interno del porta negativi, per mezzo di una testa regolabile in altezza, costituita da una lampada, che manda il fascio luminoso verso il piano di stampa; un diffusore (come nel nostro caso), che diffonde la luce su tutta la superficie del negativo; e un obiettivo che proietta l'immagine negativa del nostro soggetto da stampare sul piano di stampa.


Ci sono diversi tipologie di ingranditori. Tra i più comuni troviamo quelli a luce diffusa (appunto, come nel nostro caso), che grazie ad un box diffusore posto sotto la lampada, diffondono la luce su tutta la superficie del fotogramma da ogni direzione e permettono di realizzare stampe mediamente morbide. Questi ingranditori sono tra i più usati anche a livello professionale.

Poi ci sono gli ingranditori a luce condensata che non hanno un diffusore bensì due lenti (condensatori) che convogliano il fascio luminoso direttamente sulla pellicola in linea retta. Questo fa si che le stampe, per via dell'effetto Callier, vengano molto più contrastate e piene di dettagli.


Molti fotografi, soprattutto nel bianco e nero, preferiscono questo tipo di stampa che però, al contrario del diffusore, esige grande attenzione e pulizia perché proprio grazie alla sua capacità di evidenziare i dettagli, il condensatore mette in evidenza anche i piccoli difetti che possono essere presenti nella pellicola, come macchie di calcaree, graffi o semplicemente polvere.







Nella parte “umida” della nostra camera oscura, all'interno di una vasca (ma andava bene anche un piano) alloggeremo le bacinelle dove svilupperemo le nostre stampe.

Il processo di sviluppo di una stampa segue lo stesso iter di quello della pellicola e cioè una fase di sviluppo, una di arresto e una di fissaggio, più un lavaggio in acqua corrente e l'asciugatura.
Però, al contrario della pellicola, lo sviluppo – che ricordiamo ha la stessa funzione, cioè di trasformare l'argento esposto alla luce in argento nero metallico – è molto più rapido e se per una pellicola sono necessari almeno 8 minuti per uno sviluppo (questo varia da pellicola a pellicola, come abbiamo visto prima), per la carta, mediamente, lo sviluppo va da 1,5 minuti ad un massimo di 3 minuti. Inoltre, mentre per la pellicola l'intero processo avviene senza poter “controllare” l'andamento, nel caso della stampa, anche se eseguito alla luce rossa, possiamo vedere con i nostri occhi “in tempo reale” l'evoluzione dell'immagine che compare sul foglio dal momento dell'immersione all'interno del bagno di sviluppo fino al termine del processo.
Dopo lo sviluppo la stampa passa nella bacinella contenete il bagno di arresto, acido, che blocca l'azione dello sviluppo, basico.
In conclusione il bagno di fissaggio completa la prima parte del processo. Seguiranno poi il lavaggio in acqua corrente e l'asciugatura che può essere effettuata all'aria: per le carte politenate esistono dei particolari forni che accelerano l'operazione.

Al contrario dello sviluppo della pellicola, attrezzare una camera oscura per la stampa in casa è un operazione un po' più complessa. Non impossibile, ma il bagno non è più sufficiente (per quanto in molti abbiamo cominciato con il bagno di casa nostra) ma ci vuole una stanza appositamente attrezzata (soprattutto per l'impiantistica, sia elettrica che idraulica, che è un aspetto molto importante) e possibilmente in pianta stabile.

Bene, effettuata la scelta del negativo da ingrandire e preparati i bagni chimici non ci resta che spegnere la luce bianca per apprestarci a realizzare insieme con i nostri ragazzi la nostra stampa ai sali d'argento. Si è deciso di realizzare un ingrandimento 20x30cm: il soggetto della prima stampa è un bel ritratto di Laura e Michele.

Posto il negativo all'interno dell'ingranditore, procediamo a realizzare una prima striscia di prova in modo da poter calcolare in maniera precisa il giusto tempo di esposizione. Questo provino ci permetterà di capire le zone tonali dell'immagine, e il giusto valore di contrasto.

La carta che abbiamo deciso di utilizzare è una Multigrade IlFord superficie lucida 1M.

Dal provino ci si accorge subito che ci sono grosse differenze di valori tonali tra le alte luci (i bianchi) e le zone più scure (i neri), quindi, durante la fase di esposizione all'ingranditore sarà necessario effettuare diverse esposizioni, a seconda delle zone, per poter ottenere una stampa il più equilibrata possibile. Queste operazioni di stampa, denominate mascherature o bruciature, sono più da corso avanzato che da corso base, ma non potevamo di certo fare una stampa che non fosse il più possibile corretta.
E il risultato finale è più che accettabile.



La mascheratura si effettua sulla basse luci, per mettere in risalto i dettagli presenti nelle zone di nero che vanno dall'uno al tre nella scala dei grigi. La bruciatura agisce soprattutto sulle alte luce nelle zone 8 9 e 10 laddove ci sono dettagli da evidenziare.


Ci resta ancora un po' di tempo prima del “suono della campana”: giusto il tempo di mettere “sotto” un altro negativo.
Perché in camera oscura le ore passano velocemente, quasi senza nemmeno accorgersene (vero ragazzi?).
Il secondo soggetto è Silvia, fotografata durante la lezione di ripresa, mentre a sua volta veniva immortalata dal nostro Francesco.
In questa immagine (più equilibrata rispetto alla prima), è importante che i soggetti in primo piano, Silvia e Francesco siano ben in equilibrio con lo sfondo (soprattutto la colonna centrale), che, dopo aver analizzato il provino, risulta molto più chiaro, e quindi di disturbo. Anche in questo caso un operazione di bruciatura in fase di esposizione risolve benissimo il problema.

Dopo aver scoperto questo piccolo meraviglioso mondo della camera oscura, molti dei nostri corsisti hanno capito come mai una stampa fotografica fine-art è così costosa (mai abbastanza, credetemi). Quanto lavoro, competenza e passione c'è dietro una stampa fotografica. E soprattutto, hanno capito l'importanza che la camera oscura occupa nella realizzazione di un'immagine fotografica.
Il fotografo, con la sua creatività, la sua tecnica, da solo non basta per poter ottenere una buona fotografia; ha bisogno del valido aiuto della camera oscura, di uno stampatore (in molti casi è il fotografo stesso) capace di esaltare quello scatto realizzato con la macchina fotografica, traducendolo, su carta, in un'immagine unica e irripetibile.

Una foto è sempre in debito di gratitudine con chi sa tradurla in una bella stampa (C. Marras).

Il nostro viaggio alla scoperta della camera oscura è terminato. Ora non ci resta che affrontare l'ultimo step, pur restando “dietro le quinte”.
Con l'ultima lezione del corso dedicata al digitale, scopriremo la Camera Chiara e tutti i segreti che si celano dietro il sapiente lavoro di un photo editor.
Preparate i file, si post-produce.




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