Lo
Sviluppo della pellicola e la Stampa ai sali d'argento
Con
la quinta lezione si è conclusa la prima parte del corso dedicata ai
principali concetti della teoria fotografica: concetti poi
ampiamente sviscerati attraverso prove pratiche, nelle tre lezioni
interamente passate in sala posa a fotografare.
Con
la sesta e settima lezione “entriamo” all'interno dei laboratori: nel
“dietro le quinte” dove tutti i nostri sforzi durante la fase di
scatto, nel tentativo di realizzare quell'idea che ancor prima nella
macchina fotografica avevamo nella nostra testa, possano prendere
finalmente forma in un immagine fotografica: su carta oppure sul
monitor, nel caso del digitale, del nostro computer.
In
questo step parliamo di Camera Oscura, quindi di pellicola e stampa
ai sali d'argento.
Le
tre lezioni di scatto in sala posa ci sono servite non solo a capire
meglio i concetti fondamentali, ma anche a produrre il “materiale”
fotografico da sviluppare poi nei nostri laboratori: sia per quanto
riguarda l'analogico, quindi la pellicola fotografica (rigorosamente
in bianco e nero) che il digitale.
Non
potevamo che cominciare dalla pellicola, cioè dalle origini.
Lo
sviluppo della pellicola è un momento molto delicato, diremmo
“decisivo”. E' dalla corretta esecuzione di questo processo che
si determinerà il risultato finale della nostra immagine:
fotografia. Come ci ricordava Ansel Adams, un Grande Maestro della
fotografia e per molti il miglior stampatore in camera oscura della
storia, il negativo è come uno spartito musicale e come tale è
un'opera unica. I musicisti (come gli stampatori in fotografia) che
si alterneranno nell'esecuzione di un determinato brano musicale (la
stampa finale per lo stampatore) potranno eseguire quella musica a
seconda della loro preparazione o stile, in maniera completamente
differente l'uno dall'altro (proprio come uno stampatore farà
diversamente da un altro) , ma l'unicità di quelle note scritte sul
pentagramma (il negativo fotografico) sarà sempre del compositore
che ve le ha apposte sopra (lo scatto del fotografo più la fase di
sviluppo).
Quindi
non difficile capire quanto sia importante, per non dire
fondamentale, lo sviluppo della pellicola: ogni difetto, ogni errore
durante la fase di sviluppo, accompagnerà per sempre (fatta
eccezione per alcuni rarissimi casi) quella pellicola e sarà
visibile in ogni stampa a prescindere da chi sarà l'esecutore
(stampatore).
Il
processo di sviluppo (solo in apparenza semplice) richiede
sostanzialmente due elementi fondamentali: precisione e pulizia.
La
precisione è basilare: i tempi così come le temperature dei bagni
chimici devono essere rispettate alla lettera (soprattutto quando si
è alle prime esperienze). Come alla lettera va rispettata la
tipologia di sviluppo a seconda del tipo di chimico a disposizione e
pellicola da sviluppare.
Ed
è bene far si che l'esecuzione materiale del processo avvenga sempre
allo stesso modo, in maniera metodica (più avanti lo vedremo in
dettaglio) così da avere un risultato sempre costante.
Come
per tutte le cose, lo sviluppo della pellicola esige pratica per
acquisire quella giusta dose di esperienza che ci permette di fare
“la differenza”.
Per
sv una pellicola si ha bisogno di:
una
Tank di sviluppo: un contenitore a tenuta di luce che permette
al liquido (chimica) di entrare ed eseguire tutto il processo di
sviluppo ma senza far entrare la luce perché lo ricordiamo, molto
importante, al contrario della stampa ai sali d'argento (che
affrontiamo più avanti) che si esegue in luce di sicurezza (rossa),
la pellicola va caricata nella tank in condizioni di buio assoluto,
così come avviene il processo chimico all'interno di essa.
La
Tank è composta da una spirale su cui va caricata (al buio)
la pellicola: la sua particolare forma a spirale fa si che la
pellicola resti sempre “separata” durante il caricamento, così
da evitare che due parti di pellicola possano venire a contatto
durante lo sviluppo.
Poi
c'è un'anima centrale, che costituisce il perno dove va
alloggiata la spirale.
Un
tappo a tenuta luce che ha la peculiarità (come sottolineato
prima) di far entrare il liquido ma non la luce.
Infine
esistono tutta una serie di accessori che ci aiutano nella fase di
caricamento ma non sono indispensabili.
Svilupparsi
in casa le proprie pellicole non è un'impresa così ardua come può
sembrare: è sufficiente un bagno che possa essere messo in assoluta
oscurità, l'attrezzatura necessaria (che non implica costi così
proibitivi) e tanta passione. I risultati, con il tempo, ripagano
sempre di ogni sforzo.
Preparata
la Tank con la nostra pellicola all'interno, non ci resta che
iniziare il processo di sviluppo.
Il
processo di sviluppo è regolato da un rapporto inversamente
proporzionale tra il tempo (in minuti) e la temperatura (in gradi
centigradi), dove all'aumentare del primo diminuisce il secondo (e
viceversa). Naturalmente le case costruttrici dei vari prodotti ci
aiutano, attraverso una serie di tabelle di riferimento, a sapere
quali sono i tempi di sviluppo per ogni tipo di pellicola in base al
tipo di sviluppo usato. La temperatura di riferimento è sempre
uguale (20 gradi) ma può essere modificata in base al risultato che
si vuole ottenere. Molto importante per tutti coloro che vogliono
provare a sv da soli le proprie pellicole e non hanno ancora
sufficiente esperienza: non modificate i tempi di sviluppo a seconda
di come “vi gira” ma rispettate le istruzioni riportate nelle
tabelle di riferimento che non sono state messe lì per caso. Poi,
con il tempo, quando vi sentirete sicuri di poter “gestire” il
risultato finale (dopo alcune centinaia di pellicole sviluppate),
potete pensare di apportare delle modifiche per affinare la tecnica e
il gusto.
Lo
sviluppo della pellicola si divide in cinque fasi fondamentali più
l'asciugatura che può essere anche eseguita all'aria dell'ambiente
purché ci si assicuri che non ci sia troppa polvere in giro.
Le
fasi sono: sviluppo, arresto, fissaggio, lavaggio in acqua
corrente e imbibente. Vediamole in dettaglio.
Lo
sviluppo è una soluzione basica (PH superiore a 7) ed è
costituito da una serie di elementi tra cui i reattori
(i più comuni sono il Metolo e l'Idrochinone) che hanno la funzione
di trasformare l'argento esposto alla luce in argento nero
metallico. Così facendo l'immagine latente formatasi al momento
dello scatto, diviene visibile e in negativo.
Ci
sono molteplici tipi di sviluppi, alcuni specifici per determinate
pellicole, altri universali che possono essere impiegati per una
vasta gamma di pellicole e sensibilità differenti.
Lo
sviluppo si prepara diluendo la soluzione base in parti di acqua: la
diluizione più comune è 1:4 che sta a significare che ad una parte
di prodotto base vanno aggiunte quattro parti di acqua ad una
temperatura di 20°.
La
fase di sviluppo è molto importante. In essa è dipeso l'intero
risultato finale. Dopo aver versato lo sviluppo all'interno della
tank, si comincia un'agitazione costante per i primi sessanta
secondi. Poi, a seconda del valore di contrasto che si vuole
ottenere, si procede con un'agitazione ogni trenta secondi. Maggiore
sarà l'agitazione dello sviluppo all'interno della tank, maggiore
sarà il contrasto della pellicola. Il tutto entro certi limiti.
E'
bene eseguire questa operazione in maniera metodica in modo da
ottenere un risultato costante.
Scaduto
il tempo stabilito per quel tipo di pellicola, si toglie lo sviluppo
e s'inserisce il bagno di arresto. L'arresto è una soluzione
acida (PH inferiore a 7) che ha la funzione di bloccare l'azione
dello sv. E' costituito da acido acetico glaciale con diluizione in
acqua 1:40 e va tenuto in tank per un tempo massimo di un minuto. Per
questo bagno si può utilizzare anche acido citrico che, al contrario
dell'acido acetico, è inodore e non infastidisce gli occhi o le
mucose del naso se inavvertitamente inalato.
Alcuni
usano semplicemente l'acqua come bagno di arresto: è sconsigliato,
soprattutto per le pellicole ad alta sensibilità.
Tolto
l'arresto si passa alla terza fase: il fissaggio. Il fissaggio
è una soluzione acida e i più comuni sono costituiti in gran parte
da Iposolfito di Sodio.
La
sua funzione, oltre a fissare l'immagine nel tempo ed impedire che
nella pellicola si formino delle macchie, è quella di eliminare
tutto l'argento che non è stato esposto alla luce. Si diluisce in
acqua e, al contrario dello sviluppo che è un bagno “ a perdere”
nella stragrande maggioranza dei casi, il fissaggio si conserva per
molto tempo anche dopo la diluizione in acqua, in modo da poter
essere riutilizzato per diverse volte.
Terminata
la fase di fissaggio si può togliere il tappo della tank e
verificare se l'intero processo è stato eseguito correttamente.
Mai aprire
la tank prima che la fase di fissaggio non sia completa perché la
pellicola è ancora sensibile alla luce.
Ma
il lavoro non è ancora terminato. Dopo il fissaggio la pellicola va
lavata in acqua corrente per almeno 20 minuti (l'ideale è 30 minuti)
in modo che ogni residuo di fissaggio venga eliminato a fondo. In
caso contrario, tracce di fissaggio a contatto con l'aria potrebbero
causare delle macchie indelebili che rovinerebbero irrimediabilmente
la nostra pellicola (e il nostro lavoro).
Terminata
la fase di lavaggio si inserisce nella tank ancora piena d'acqua,
delle gocce di imbibente, un anticalcare che impedisce
all'acqua stessa di lasciare macchie sulla pellicola.
Infine
l'asciugatura, dove possiamo già ammirare il nostro lavoro svolto in
trepidante attesa.
Perché
se nel digitale la foto è subito pronta da vedere, nel display della
macchina, quando si usa la pellicola non si è mai sicuri di quello
che si è fatto fino al momento dell'asciugatura finale. Un attesa
che rende questo sistema di lavoro unico e affascinante.
I
nostri ragazzi si sono mossi con estrema disinvoltura e hanno
dimostrato ottimo interesse verso la camera oscura. Ma questo non è
che il primo step, ora dobbiamo stampare la nostra pellicola.
Non
è un caso se in tutti i nostri corsi la parte dedicata alla camera
oscura è quella che riscuote sempre maggior curiosità. In fondo per
molti (quasi per tutti) nostri corsisti l'esperienza vissuta con noi
in CO rimarrà unica e quindi l'interesse è sempre al 100%.
La
nostra pellicola è perfettamente asciutta ma per poter scegliere
quale foto stampare abbiamo bisogno di realizzare dei provini a
contatto di tutti gli scatti eseguiti.
Tagliamo
la pellicola in strisce da sei fotogrammi (si possono anche tagliare
a cinque o a quattro, anche se lo sconsigliamo) e le disponiamo sopra
un foglio di carta fotografica. Poi, con un vetro o un torchio
facciamo in modo che queste siano perfettamente aderenti al foglio
(altrimenti il nostro provino verrebbe sfocato). Naturalmente
questa operazione va eseguita in luce di sicurezza rossa perché la
carta fotografica bianco e nero è sensibile a tutti i colori dello
spettro luminoso ad eccezione del rosso.
Con
la nostra stampa di provini a contatto, accuratamente sviluppata,
lavata e asciugata, possiamo scegliere quei fotogrammi che ci
serviranno per realizzare le nostre stampe ai sali d'argento.
La
carta fotografica bianco e nero è costituita da un emulsione ai sali
d'argento e da un supporto cartaceo. I sali d'argento che
costituiscono l'emulsione sono generalmente di tre tipi: cloro, bromo
e iodio. Le carte al cloro sono solitamente utilizzate per la
provinatura a contatto grazie al loro basso contrasto che permette di
vedere molti dettagli anche nelle condizioni più estreme, sia nelle
alte luce che sui neri. Le carte al bromo più cloro sono quelle più
utilizzate in commercio e offrono la migliore gamma tonale nella
scala dei grigi.
Le
carte foto-sensibili si dividono in due categorie: politenate (RC)
dove l'emulsione fotografica è protetta da uno strato di poliestere;
baritate (FB) in cui l'emulsione è stesa sotto uno strato di barite
che la protegge e permette alla chimica (sviluppo etc etc) di
penetrare all'interno delle fibre della carta. Quest'ultime sono
molto pregiate e la qualità di stampa, rispetto alle più diffuse
politenate è decisamente superiore (stampa fine-art).
Queste
due categorie possono essere suddivise in due famiglie ben distinte:
carte a contrasto fisso, che va da 0 a 5, e a contrasto variabile
dove l'utilizzo di filtri (il magenta e il giallo) posti davanti
all'obiettivo da stampa, permettono di variare il valore di contrasto
a seconda del tipo di esigenze, negativo, etc etc. Il filtro magenta
aumenta il contrasto, quello giallo lo diminuisce. Le carte a
contrasto fisso sono ritenute quelle di maggiore qualità mentre le
carte a contrasto variabile (VC) sono le più diffuse in commercio.
Per esperienza possiamo garantire che esistono carte a contrasto
variabile di ottima qualità come la Multigrade FB 1k della Il Ford,
oppure l'Agfa Multicontrast MCC lucida non smaltata. La scelta della
carta è sempre un fattore soggettivo.
Anche
le superfici delle carte sono molteplici. Si va dalle opache matt o
semi-matt, alle satinate fino ad arrivare alle perla e lucide. Nella
stampa fine-art l'optimum per moltissimi stampatori professionisti è
la Ilfobrom Galery 1k lucida non smaltata sviluppata in Dektol.
Purtroppo
con l'avvento del digitale moltissimi di questi meravigliosi
materiali sono oramai estinti; e i pochi che ancora si trovano in
commercio sono di difficile reperibilità a causa dei costi (in
primis) e alle difficoltà di smaltimento.
La carta
fotografica in bianco e nero va trattata solo in luce di sicurezza
rossa.
Fatta
questa piccolissima panoramica sulle carte fotografiche, cominciamo a
scoprire la nostra camera oscura.
Una
camera oscura è costituita da due parti ben distinte: la parte
umida, dove avviene il processo chimico e dove ci sono tutti i
contenitori necessari alla preparazione dei bagni; una parte asciutta
dove si conservano le carte fotografiche e tutto il necessario per la
stampa oltre all'elemento fondamentale senza in quale non potremmo
realizzare le nostre stampe fotografiche: l'ingranditore!
Ci sono diversi tipologie di ingranditori. Tra i più comuni troviamo quelli a luce diffusa (appunto, come nel nostro caso), che grazie ad un box diffusore posto sotto la lampada, diffondono la luce su tutta la superficie del fotogramma da ogni direzione e permettono di realizzare stampe mediamente morbide. Questi ingranditori sono tra i più usati anche a livello professionale.
Poi ci sono gli ingranditori a luce condensata che non hanno un diffusore bensì due lenti (condensatori) che convogliano il fascio luminoso direttamente sulla pellicola in linea retta. Questo fa si che le stampe, per via dell'effetto Callier, vengano molto più contrastate e piene di dettagli.
Molti fotografi, soprattutto nel bianco e nero, preferiscono questo tipo di stampa che però, al contrario del diffusore, esige grande attenzione e pulizia perché proprio grazie alla sua capacità di evidenziare i dettagli, il condensatore mette in evidenza anche i piccoli difetti che possono essere presenti nella pellicola, come macchie di calcaree, graffi o semplicemente polvere.
Nella
parte “umida” della nostra camera oscura, all'interno di una
vasca (ma andava bene anche un piano) alloggeremo le bacinelle dove
svilupperemo le nostre stampe.
Il
processo di sviluppo di una stampa segue lo stesso iter di quello
della pellicola e cioè una fase di sviluppo, una di arresto e una di
fissaggio, più un lavaggio in acqua corrente e l'asciugatura.
Però,
al contrario della pellicola, lo sviluppo – che ricordiamo ha la
stessa funzione, cioè di trasformare l'argento esposto alla luce in
argento nero metallico – è molto più rapido e se per una
pellicola sono necessari almeno 8 minuti per uno sviluppo (questo
varia da pellicola a pellicola, come abbiamo visto prima), per la
carta, mediamente, lo sviluppo va da 1,5 minuti ad un massimo di 3
minuti. Inoltre, mentre per la pellicola l'intero processo avviene
senza poter “controllare” l'andamento, nel caso della stampa,
anche se eseguito alla luce rossa, possiamo vedere con i nostri occhi
“in tempo reale” l'evoluzione dell'immagine che compare sul
foglio dal momento dell'immersione all'interno del bagno di sviluppo
fino al termine del processo.
Dopo
lo sviluppo la stampa passa nella bacinella contenete il bagno di
arresto, acido, che blocca l'azione dello sviluppo, basico.
In
conclusione il bagno di fissaggio completa la prima parte del
processo. Seguiranno poi il lavaggio in acqua corrente e
l'asciugatura che può essere effettuata all'aria: per le carte
politenate esistono dei particolari forni che accelerano
l'operazione.
Al contrario
dello sviluppo della pellicola, attrezzare una camera oscura per la
stampa in casa è un operazione un po' più complessa. Non
impossibile, ma il bagno non è più sufficiente (per quanto in molti
abbiamo cominciato con il bagno di casa nostra) ma ci vuole una
stanza appositamente attrezzata (soprattutto per l'impiantistica, sia
elettrica che idraulica, che è un aspetto molto importante) e
possibilmente in pianta stabile.
Bene,
effettuata la scelta del negativo da ingrandire e preparati i bagni
chimici non ci resta che spegnere la luce bianca per apprestarci a
realizzare insieme con i nostri ragazzi la nostra stampa ai sali
d'argento. Si è deciso di realizzare un ingrandimento 20x30cm: il
soggetto della prima stampa è un bel ritratto di Laura e Michele.
Posto
il negativo all'interno dell'ingranditore, procediamo a realizzare
una prima striscia di prova in modo da poter calcolare in maniera
precisa il giusto tempo di esposizione. Questo provino ci permetterà
di capire le zone tonali dell'immagine, e il giusto valore di
contrasto.
La carta che
abbiamo deciso di utilizzare è una Multigrade IlFord superficie
lucida 1M.
Dal
provino ci si accorge subito che ci sono grosse differenze di valori
tonali tra le alte luci (i bianchi) e le zone più scure (i neri),
quindi, durante la fase di esposizione all'ingranditore sarà
necessario effettuare diverse esposizioni, a seconda delle zone, per
poter ottenere una stampa il più equilibrata possibile. Queste
operazioni di stampa, denominate mascherature o bruciature, sono più
da corso avanzato che da corso base, ma non potevamo di certo fare
una stampa che non fosse il più possibile corretta.
E
il risultato finale è più che accettabile.
La
mascheratura si effettua sulla basse luci, per mettere in risalto i
dettagli presenti nelle zone di nero che vanno dall'uno al tre nella
scala dei grigi. La bruciatura agisce soprattutto sulle alte luce
nelle zone 8 9 e 10 laddove ci sono dettagli da evidenziare.
Ci
resta ancora un po' di tempo prima del “suono della campana”:
giusto il tempo di mettere “sotto” un altro negativo.
Perché
in camera oscura le ore passano velocemente, quasi senza nemmeno
accorgersene (vero ragazzi?).
Il
secondo soggetto è Silvia, fotografata durante la lezione di
ripresa, mentre a sua volta veniva immortalata dal nostro Francesco.
In
questa immagine (più equilibrata rispetto alla prima), è importante
che i soggetti in primo piano, Silvia e Francesco siano ben in equilibrio con lo
sfondo (soprattutto la colonna centrale), che, dopo aver analizzato il provino, risulta molto più
chiaro, e quindi di disturbo. Anche in questo caso un operazione di
bruciatura in fase di esposizione risolve benissimo il problema.
Dopo
aver scoperto questo piccolo meraviglioso mondo della camera oscura,
molti dei nostri corsisti hanno capito come mai una stampa
fotografica fine-art è così costosa (mai abbastanza, credetemi).
Quanto lavoro, competenza e passione c'è dietro una stampa
fotografica. E soprattutto, hanno capito l'importanza che la camera
oscura occupa nella realizzazione di un'immagine fotografica.
Il
fotografo, con la sua creatività, la sua tecnica, da solo non basta
per poter ottenere una buona fotografia; ha bisogno del valido aiuto
della camera oscura, di uno stampatore (in molti casi è il fotografo
stesso) capace di esaltare quello scatto realizzato con la macchina
fotografica, traducendolo, su carta, in un'immagine unica e
irripetibile.
Una foto è
sempre in debito di gratitudine con chi sa tradurla in una bella
stampa (C. Marras).
Il
nostro viaggio alla scoperta della camera oscura è terminato. Ora
non ci resta che affrontare l'ultimo step, pur restando “dietro le
quinte”.
Con
l'ultima lezione del corso dedicata al digitale, scopriremo la Camera
Chiara e tutti i segreti che si celano dietro il sapiente lavoro di
un photo editor.
Preparate
i file, si post-produce.
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