Si comincia con la Storia della Fotografia
In principio fu la luce, per citare il noto passaggio delle Genesi, e con essa quelle particelle elementari dette fotoni, che sono alla base di quella meravigliosa scoperta che è la Fotografia.
Tutto ebbe inizio, presumibilmente, nella lontana preistoria, in quelle grotte buie in cui gli uomini preistorici trovavano rifugio e che fungevano da camere oscure naturali, dove la luce, attraverso piccolissimi pertugi, proiettava l'immagine capovolta e confusa del paesaggio esterno sulla liscia parete di roccia all'interno della grotta. Già Aristotele nel quarto secolo a.C. descrisse per primo un marchingegno capace di catturare un'immagine su di un foglio di carta in quella che secoli più tardi venne definita: camera obscura. E il primo passo verso la fotografia che conosciamo fu quello di trovare una applicazione alla camera obscura: e questo avvenne in Italia dove grandi pittori come Guardi e Canaletto la utilizzarono nei loro dipinti di Venezia.
Ma già da prima, l'esigenza di creare un'immagine "il più fedele alla realtà" portò a continue scoperte che migliorarono i modelli di camera obscura: prima tra tutte l'inserimento di una lente ottica (obiettivo) al quale nella prima metà del cinquecento si aggiunse il diaframma, che migliorarono la qualità dell'immagine.
Divenuta una realtà, la camera obscura si diffuse in larga misura con modelli sempre più sofisticati.
Ma la vera svolta nella storia della fotografia si ebbe con l'ingresso in campo della chimica: a nessun pittore che utilizzava la camera obscura era venuto mai in mente che quell'immagine proiettata sulla carta da disegno potesse, in qualche modo, essere resa permanente. Quando nel 1727, un professore di anatomia, Jhoann Schulze scopri, per caso, che i sali d'argento scurivano se colpiti violentemente dalla luce, tutto cambiò. Da li in poi furono in molti a sperimentare l'efficacia dei sali d'argento, catalogandone le differenze di sensibilità ai vari stadi di esposizione alla luce. E dal lavoro di Hellot possiamo applicare il significato della parola "fotografia", cioè "scrivere con la luce", quando nel corso dei suoi esperimenti giunse a realizzare un sistema di scrittura "simpatico" con una soluzione di nitrato d'argento, che restava invisibile fino a quando non veniva esposta alla luce del sole.
Vista dalla finestra a Le Gras, |
Il merito di aver inventato la fotografia che noi conosciamo va a Joseph Nicéphore Niépce che realizzò la prima immagine fotografica su una lastra di peltro trattata con bitume di Giudea esposta otto ore sul davanzale della finestra del suo laboratorio.
(evidente la particolarità del sole che è presente in entrambi i lati)
Un altro francese, Louis Daguerre, anch'esso ossessionato dall'idea di ottenere un'immagine ottenuta con una camera obscura, e anch'esso come gli altri per puro caso, scoprì che in una lastra precedentemente esposta e lasciata dentro l'armadio in cui teneva i suoi prodotti chimici, l'immagine latente si era sviluppata.
Dopo attenti controlli verificò che la lastra si era sviluppata grazie ai vapori di mercurio rilasciati da un termometro che si era rotto.
L’Atelier de l'artiste, un dagherrotipo del 1837 |
Nonostante il dagherrotipo non fosse di così facile realizzazione, questo rappresentò il più significativo e fedele "specchio della natura" che l'uomo avesse mai inventato; e pare che Paul Delaroche, davanti ad un dagherrotipo, esclamò: "Da oggi, la pittura è morta".
Calotipia proveniente dal libro Pencil of Nature, 1844 |
Ignaro delle scoperte di Niépce e Daguerre, Henry Fox Talbot, al quale si può attribuire la scoperta del "callotipo", realizzò dei negativi su carta con soluzioni di nitrato d'argento e sale comune che messi a contatto su carta da disegno precedentemente sensibilizzata, lasciando passare la luce in trasparenza, davano stampe di immagini positive. Nasceva così il "negativo fotografico" ma a differenza del metodo di Daguerre, questa tecnica dava stampe meno incise nei dettagli e il fatto che poteva essere riproducibile in più copie, non aveva lo stesso valore "unico" del dagherrotipo.
Ambrotipia del 1860 |
La nuova emulsione risultò talmente sensibile che i tempi di esposizione si ridussero dai 30 secondi dei dagherrotipi, a tempi inferiori ai 3 secondi. Insieme alla tecnica del collodio umido, Archer introdusse l'ambrotipo, un negativo al collodio, su vetro, che anteposto ad uno sfondo scuro dava l'apparenza dei positivi. Furono paragonati ai dagherrotipi ed ebbero grandissimo successo nell'esecuzione di ritratti soprattutto in epoca vittoriana.
E questo non è che l'inizio...
Nessun commento:
Posta un commento